Scheda film
Clodia - Fragmenta
Partecipazioni
- Film selezionati dall' A.I.A.C.E.Mostra Internazionale del Cinema (1982)
- Titolo Biennale
- Clodia Fragmenta
- Titolo Originale
- Clodia - Fragmenta
- Anno
- 1982
- Produzione
- Texas Film Corporation
- Regia
- Franco Brocani
- Fotografia
- Franco Lecca
- Nazionalità
- Italia
- Lingua
- Italiano
- Dati tecnici
- Lungometraggio
- Colore
- 100 minuti
- Genere
- Drammatico
- Montaggio
- Domenico Varone
- Sinossi
Liberamente tratto da un racconto di Marcel Schwob nelle “Vite immaginarie” e profondamente orientato sul pensiero di Georges Bataille. Il film vuole dare corpo alla tragica vicenda di Clodia, la nobildonna romana amata da Catullo e resa da lui immortale, nei suoi versi, con lo pseudonimo di Lesbia. Subito, il film aggancia il passato al presente modulando il racconto fuori di qualsiasi temporalità storica. Clodia vive incestuosamente una folle passione col fratello e con un’altra sorella; hanno tutti e tre lo stesso nome quasi a sanzione nel gioco tragico delle loro esistenze dell'ineluttabile fusione delle indennità e dei destini. Insieme si abbandonano a ogni eccesso in una scandalosa libertà o insensatezza.
La bellezza di Clodio è accecante: a Roma lo chiamano tutti col soprannome di “pulcher” e a questa sua bellezza sembra che si pieghino ogni volontà ed ogni regola.
Le due sorelle giacciono con lui; lo travestono da suonatrice di cetra e cosi possono introdurlo in luoghi ed in feste proibite. Ma un giorno questo giovane dio viene assassinato dagli uomini di Milone. Clodia sente la vita crollarle addosso. É disperata, non trova più ragioni per la sua esistenza e si abbandona ad ogni abiezione. Si prostituisce, adesca chiunque: per strada, nei parchi, nelle taverne. Nella casa dove lei abita con l’altra Clodia e che a differenza di lei non esce mai dal chiuso il cadavere insanguinato del giovane tribuno resuscita per ubbidire all’impulso di una passione inconsumabile che travalica la morte.
Quando Clodia viene assassinata da uno dei suoi occasionali clienti non è la “fine”, ma soltanto l’interruzione, nella simulazione di una vicenda personale, di quel “tic” che si chiama Esistenza e le cui sembianze infinite sono alla fine illeggibili.