Scheda film

Het Dak van de Walvis

Partecipazioni

Titolo Biennale
Het Dak van de Walvis
Titolo Originale
Het Dak van de Walvis
Tit. Distr. Eng.
On Top of the Whale
Tit. Trad. Ita.
Il tetto della balena
Tit. Trad. Eng.
The Roof of the Whale
Tit. Altro Eng.
A Film About Survival
Anno
1982
Sceneggiatura
Raoul Ruiz
Soggetto
Raoul Ruiz
Fotografia
Henri Alekan
Nazionalità
Paesi Bassi
Lingua
Tedesco
Effetti speciali
Herni Alekan, François Ede
Dati tecnici
Lungometraggio
Colore
90 minuti
Genere
Fantascienza-fantastico
Montaggio
Valeria Sarmiento
Scenografia
Jan de Winter
Costumi
Marisha
La storia è ambientata nel futuro, negli ultimi anni del Novecento, in Olanda. Ai festeggiamenti del Primo Maggio un antropologo francese, Jean, e sua moglie Eva, una impiegata olandese, incontrano un milionario cileno, Narcisco Campos. Durante il suo soggiorno in Olanda il milionario e i coniugi diventano molto amici. Così Narcisco si decide a invitarli a casa sua dall’altra parte della terra. Eva sa che questa casa è il ritratto esatto della casa dei suoi antenati a Delft. Jean, che è nato in una ex colonia africana, è invece interessato ad incontrare due indiani del popolo più primitivo del mondo, che Narcisco sostiene di possedere. Si reincontrano nella Terra del Fuoco, in una zona sorvegliata dalla forza di pace dell’ONU dopo una guerra tra il Cile e l’Argentina. Eva porta con sé Anita, la figlia avuta da un precedente matrimonio. All’inizio vediamo il confronto quotidiano dei personaggi con piccoli problemi che man mano si ingigantiscono. Le notti sembrano durare un’eternità, adatte per raccontarsi storie di spiriti. Anche il paesaggio serve per creare questa atmosfera. Due giorni dopo appaiono gli indiani. Il primo contatto è superficiale. E rimarrebbe tale se Jane non insistesse per approfondire i1 rapporto. Vuole capirli ad ogni costo. È giusto pensare che gli indiani primitivi debbano necessariamente parlare la lingua più semplice? All’inizio del ventesimo secolo un giovane pastore protestante tentò di studiare questa lingua. Gli si raccontò che sarebbero bastati quindici giorni. Decise di impiegare i suoi due mesi di ferie per approfondire bene quella lingua. Alla fine del suo soggiorno dovette ammettere che quella lingua, apparentemente semplice, conosceva sfumature sottili come la vita stessa. Soltanto poco prima di morire, quarant’anni dopo, ammetteva di essere prenetato nella lingua più complicata del mondo: “Questi indiani costruiscono ogni giorno una cattedrale gotica”, aveva esclamato. A poco a poco Jean tenta di capire la lingua degli indiani. Si rende benissimo conto dell’abisso che lo separa dal comportamento elementare degli indiani, della complessità del loro modo di pensare. Jean cessa la sua ricerca e se ne va. Narcisco invece rimanda la partenza di settimana in settimana. Eva, che ha ritrovato la casa degli avi, decide di rimanere per sempre in Patagonia. Anita sfugge invece ad ogni investigazione: è solo chiaro il fatto che abbia trovato il modo di comunicare con gli indiani. Questi fanno appello al suo mondo interiore, il che per lei ha la stessa intensità del tuono e del suono lontano da un campo di battaglia. Dopo un anno, Jean ritorna e trova gii indiani “civilizzati”. Essi ripetono in maniera caotica tutto quello che hanno sentito , imparato, intuito bene o male dai visitatori bianchi. Coppia sonnambula, Narcisco ed Eva sono diventati adoratori ironici di Anita,vergine incinta, che sta per partorire.