Scheda film
George Stevens. A Filmmaker's Journey
Partecipazioni
- Venezia Speciali 142. Mostra Internazionale del Cinema (1985)
- Titolo Biennale
- George Stevens. A Filmmaker's Journey
- Titolo Originale
- George Stevens. A Filmmaker's Journey
- Tit. Distr. Eng.
- George Stevens. A Filmmaker's Journey
- Tit. Trad. Ita.
- George Stevens. Il viaggio di un cineasta
- Anno
- 1984
- Produzione
- Creative Film Center
- Regia
- George Stevens Jr.
- Sceneggiatura
- George Stevens Jr.
- Musica
- Carl Davis
- Nazionalità
- Stati Uniti D'America
- Lingua
- Inglese
- Dati tecnici
- Lungometraggio
- Colore
- 35 mm
- 110 minuti
- Genere
- Biografico
- Montaggio
- Susan Winslow, Catherine Shields
- Sinossi
Il film, scritto e diretto da suo figlio George Stevens jr., ripercorre le tappe plù importanti della carriera di uno dei grandi dell’epoca d’oro d1 Hollywood per mezzo delle immagini di molti dei suoi film, grazie ai ricordi delle star che diresse e attraverso le testimonianze del registi che l'avevano conosciuto a fondo.
Il viaggio di Stevens padre iniziò a San Francisco, dove i suoi genitori lavoravano come attori, e continuò a Hollywood, dove diventò operatore prima per Hal Roach e poi per Laurel Hardy, per i quali scrisse anche numerose gag. Come ricorda poi la stessa Katherine Hepburn, il salto di qualità nella sua carriera avvenne con 1a richiesta che l’attrice gli fece di dirigerla in Alice Adams: la commedia ebbe un grandissimo successo e Stevens divenne uno dei registi più ricercati di Hollywood per dirigere questo tipo di film (Swingtime, Gunga Din, Woman of the Year, Penny Serenade, The More the Merrier).
Nel 1942, Stevens entrò come supervisore per le riprese di guerra nell’esercito degli Stati Uniti sotto la diretta responsabilità del generale Eisenhower: con una cinepresa a 16 mm riprese con pellicola a colori lo sbarco del D-Day, la liberazione di Parigi e l’ingresso delle truppe alleate nel campo di concentramento di Dachau. Sono immagini di straordinaria drammaticità, che vengono presentate qui per la prima volta e che provocarono sul loro stesso autore un vero e proprio choc psicologico. Dopo la guerra, infatti, Stevens non fu più un autore di
commedie, come se durante il conflitto mondiale avesse perso per sempre la voglia di divertirsi. E infatti i suoi film successivi (A Place in the San, Shane e Giant) analizzano l’evoluzione del sogno americano, mentre The Diary of Anna Frank offrì l’occasione a Stevens di mettere in un film le sue riflessioni dirette sulla guerra. Altre testimonianze (di Mankiewicz, Zinnemann, Pandro Berman, Mamoulian) ricostruiscono l’atteggiamento che Stevens tenne all’interno del Director’s Guild of America durante il periodo del maccartismo. Il film termina con interviste e immagini del set di The Greatest Story Ever Told, l'ultimo grande kolossal che Stevens diresse.