Scheda film

Mi hijo el Che - Un retrato de familia de Don Ernesto Guevara

Partecipazioni

Titolo Biennale
Mi hijo el Che - Un retrato de familia de Don Ernesto Guevara
Titolo Originale
Mi hijo el Che - Un retrato de familia de Don Ernesto Guevara
Tit. Trad. Ita.
Mio figlio il Che - Un ritratto di famiglia di Don Ernesto Guevara
Tit. Trad. Eng.
My Son the Che - A Family Portrait of Don Ernesto Guevara
Anno
1985
Sceneggiatura
Fernando Birri
Fotografia
Adriano Moreno
Nazionalità
Cuba
Italia
Spagna
Lingua
Spagnolo
Dati tecnici
Mediometraggio
Colore
16 mm
60 minuti
Genere
Documentario
Montaggio
Fernando Birri, Alfredo Muschietti
Con il suo sorriso, il sigaro tra le labbra, il basco con la stella, le sue parole profonde, semplici, sincere, le sue lotte a metà degli anni 60, una figura andò guadagnando prestigio internazionale, fino a convertirsi in leggendaria. Era un medico argentino: Ernesto Guevara, conosciuto da tutti come il “Che”. La memoria collettiva ha mitizzato la sua personalità. Lo si è consumato come un poster. Ci si è scordati, però, dell’uomo che aveva contribuito a quella spinta per cambiare la qualità della vita e, portando il suo gesto fino alle estreme conseguenze, aveva pagato con la propria. Con il passare degli anni, per le generazioni che hanno vissuto quel momento, rimane la nostalgia, qualcosa che avrebbe potuto essere e non è stato. Per le generazioni venute dopo è l’ignoranza o l’oblio. Questo film risale la corrente del tempo e vuole opporsi a quell’ignoranza e a quell’oblio, tratteggiando un profilo dell’uomo "Che" Guevara, e per fare questo si avvale in primo luogo di una lunga intervista a Don Ernesto Guevara Lynch, padre del "Che", effettuata lo scorso anno a L’Avana, dove egli vive da diversi anni. Il padre ci racconta il figlio esplorando la sua memoria, recuperando la simpatia, lo spirito avventuroso, le influenze culturali, la sua laurea in medicina, i viaggi, i diari, l’asma, l’"ottimismo della volontà", la generosità solidale di Ernestino prima e di Ernesto poi, quando ancora non era diventato la figura che tutti avrebbero conosciuto. Il film è un doppio ritratto, poi, dato che il ritratto del figlio nasce da quello del padre, che si delinea anche con molta forza. Don Ernesto, con i suoi 84 anni (al momento dell’intervista), e con un ultimo figlio di 8, dimostra una vitalità e una lucidita soprendenti. Profondamente identificato con il suo paese ci narra anche di sé, dell’Argentina dell’inizio del secolo, la scoperta del petrolio e il suo operare nel movimento per la nazionalizzazione dello stesso, la caduta di Yrigoyen, Gardel, l’arrivo del peronismo e, infine, i giorni neri degli attentati, delle torture, dei "desaparecidos": la dittatura militare degli ultimi anni, motivo del suo esilio in Cuba. Il ritratto che egli ci fa del figlio viene appoggiato nel film da un copiosissimo materiale fotografico familiare, in gran parte inedito, come anche inedita è una pellicola di famiglia, dove si vede il "Che" piccolino, girata da Don Ernesto e rimasta per più di 50 anni in un baule di casa. Vi sono poi altri materiali di repertorio che fanno da contrappunto alla narrazione, come il repertorio ufficiale che ci ricorda la dimensione internazionalista del mito del "Che" e le riprese (pressoché inedite) effettuate nel 1957 tra i "barbudos", nella Sierra durante la lunga marcia della guerriglia cubana. Anima della pellicola sono poi le musiche di Tata Cedron, avanguardia tra i compositori argentini di tango, che spesso per contrasto con le atmosfere e i luoghi cubani del film rimandano alla presenza di quel "Che" argentino che tanto si identificò con quelle gesta latinoamericane. E un doppio ritratto, si diceva, di due uomini che han creduto fermamente nelle loro idee ed ideali in un momento storico di cambiamento e di speranza nel mondo; un testamento esistenziale per le future generazioni.